La mia bicicletta

Ai miei tempi i cellulari non c’erano, allora il regalo per la cresima poteva essere la coppia di penne Parker (stilografica e normale), l’orologio d’oro massello e poi lei: la bicicletta. La bici più bella che avessi avuto fino a quel momento era una Graziella, con le ruote piccole, ma non era proprio mia, era della mamma, che, non avendo la patente, la usava per andare a fare la spesa. Poi è passata a me, che ero la prima in linea di successione, linea alla quale non apparteneva mio padre, che la patente l’aveva, quindi era fuori dai giochi dinastici. Avevo chiesto la bicicletta con le ruote grandi, anche se mi sentivo in colpa perché sapevo che il suo costo era elevato e sarebbe valso grossi sacrifici ai miei genitori, ma io diventavo un soldato di Dio e sapevo di meritarla. Tuttavia la bellezza della MIA bicicletta andava al di là di ogni mia aspettativa: era la bicicletta più bella mai vista sulla faccia della terra, era enorme, nera, con i freni a bacchetta (se non sapete cosa sono, googlate, che non si può spiegare la bellezza, al massimo si può provare a disegnarla. Non io, però), era…PESANTE, era probabilmente la cosa più pesante che avessi mai guidato in vita mia, pesava un paio di tonnellate con le ruote ben gonfie. Tutti gli attuali studi sulla leggerezza dei telai delle bici da corsa, ceramica-alluminio, alluminio e carbonio hanno avuto nella mia bicicletta il 100 assoluto nella scala di riferimento del peso. Credo fosse piombo, ma piombo pieno zeppo, non una sola sua parte era vuota. Quando affrontavo le salite, scendevo, mettevo la bombola a ossigeno e spingevo. Una volta sono anche caduta in mezzo alla strada, credo per un calo di zuccheri dopo i primi durissimi 10 metri, ed ho causato un incidente, una tamponamento; mi sono così vergognata che ho finto un malore gravissimo, una specie di colpo apoplettico, poi mentre nessuno si occupava più di me, ma si prendevano a cazzotti tra loro, mi sono dileguata (cosa non facile nemmeno per l’incredibile Hulk,  visto il peso della bici, ma la tremenda vergogna ci mise del suo). Che avventure! Da lì a qualche anno sarebbe toccato al motorino, con la bici passata a mio fratello (ultimo in linea di successione, cui pertanto spettavano di diritto gli avanzi “Tu prendi quella della tu’ sorella, così tu fai esperienza”). E mio fratello concludeva degnamente la storia del mezzo, distruggendolo da par suo. Anche il motorino eh.